Comitato Organizzatore dei Giochi del Mediterraneo sulla Spiaggia

Il ritorno dell’uomo al suo elemento fondamentale: l’acqua

L’uomo sta per tornare nel mare, come accadde milioni di anni fa ad alcuni mammiferi che divennero gli attuali cetacei? È improbabile perché per il momento mancano drastiche mutazioni anatomiche e fisiologiche che potrebbero farci presagire il ritorno all’ambiente liquido. Per poter rimanere immersi settimane e mesi, senza il pericolo di morire, dovremmo cambiare tutto il nostro corpo.
Dovremmo modificarne la forma, le braccia, le gambe, i polmoni, il cuore, le vene, le arterie, il fegato, i reni, la pelle ed il sangue. Anche se le immersioni con autorespiratore stanno diventando di gran moda, tuttavia nulla fa pensare che, nel grande schema evolutivo, sia stato programmato un ritorno dell’uomo all’acqua come creatura marina. Però a modo suo, cioè con i mezzi artificiali che ha saputo inventare, l’uomo sta preparandosi ad un ritorno al mare.

Per sopperire alla mancanza di grasso, migliora i suoi scafandri e le sue mute. Lotta per perfezionare le apparecchiature respiratorie e per conoscere meglio la fisiologia dell’immersione, perché in acqua egli non si sente mai completamente a proprio agio. Fino ad oggi, è riuscito a vivere un mese in una speciale base sottomarina. È molto orgoglioso di possedere e di sapere usare decine di sommergibili e di essere sceso a profondità superiori a quelle raggiunte dai capodogli.

Fra qualche decina di anni, grazie alle tecnologie mediche e chirurgiche più avanzate, forse alcuni di noi verranno trasformati in animali anfibi.
Anche se non può volare e non è in grado di immergersi con grande facilità, l’uomo ha conquistato l’aria, la luna e le fosse oceaniche più profonde. La conquista dell’idrosfera, pur non essendo ancora perfetta, è un fatto irrefutabile.

Tuttavia fin dai tempi più antichi l’uomo, con sforzi vani, aveva tracciato la via per il ritorno all’elemento che aveva dato vita ai suoi antenati. Ancora prima che ci fosse qualcuno capace di raccontarne le imprese, l’uomo si era immerso nelle baie del Mediterraneo orientale, nelle acque tiepide del Golfo Persico, dell’oceano Indiano, delle isole sparse nel Pacifico e persino in quelle gelate della Terra del Fuoco.

Questi sub primitivi erano spinti da motivi pratici o religiosi. Dalle acque poco profonde, ma misteriose, essi portavano via cibo e tesori, a cui si accomunavano fantastici racconti, che mantenevano viva tutta una mitologia: erano perle, coralli e storie di mostri oppure spugne e leggende di bellissime sirene. L’eroe sumero Gilgamesh, per esempio, trovò in fondo al mare la favolosa alga che dava la vita eterna ma purtroppo la smarrì.

Con conoscenze empiriche questi pionieri perfezionarono la tecnica di immersione in apnea e, in poco più di due minuti, riuscivano a scendere fino a 45-60 metri. Essi si tramandavano di generazione in generazione i segreti di quelle tecniche. Solo alla fine del diciannovesimo secolo tecnologia e scienza furono in grado di migliorarle e di preparare un equipaggiamento che aprisse veramente a tutti gli uomini il mondo dell’oceano. I progressi compiuti in questo senso furono sbalorditivi e coincisero con l’esplosione demografica ed industriale della nostra civiltà.

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Perché l’uomo è sempre stato attratto dalle profondità marine? Si trattava di un desiderio inconscio di ritornare nell’elemento che ha dato origine alla vita, oppure del bisogno di scoprire tutto quanto era mistero intorno a lui? È difficile dirlo. Le motivazioni apparenti erano comunque il desiderio di libertà e lo spirito di avventura. La libertà dal proprio peso e l’avventura dell’esplorazione di un mondo che dalla superficie era ed è assolutamente inimmaginabile.

Ma coloro che sentivano il bisogno di immergersi, non riuscivano a comunicare con esattezza le scoperte e le sensazioni provate. Venivano considerati uomini diversi: quasi stregoni. Ancora oggi coloro che hanno vissuto l’esperienza dell’assenza di peso e della libertà tridimensionale, che può essere provata solo in immersione o nelle passeggiate spaziali, hanno un segreto in comune: l’iniziazione ai riti del mare.

Disgraziatamente le motivazioni che spingono oggi l’uomo a scendere nell’oceano sono più materialistiche. In tutto il mondo c’è una tendenza a valutare i benefici della ricerca, come l’industria valuta la bontà degli investimenti in base ai profitti. Se le immersioni significano progresso, bisogna anche dimostrare che sono pratiche ed economiche.

Nella fascia in cui si scende con l’autorespiratore i sub hanno dimostrato di essere insostituibili. I salvataggi, i ricuperi, la raccolta del corallo e delle perle, la coltivazione delle ostriche in Giappone, le ricerche geologiche, biologiche ed ecologiche, la speleologia e l’archeologia sottomarina hanno dimostrato l’efficacia della presenza umana sott’acqua.

Per scendere a grandi profondità sono necessarie miscele gassose molto elaborate, abitazioni e camere di decompressione, cavi, attrezzi elettrici e vari mezzi di comunicazione. Inoltre ogni ora di lavoro sul fondo del mare è costosa e spesso pericolosa. Per questo le compagnie petrolifere, che impiegano il maggior numero di sub, usano metodi di lavoro alternati: impiegano apparecchiature completamente automatiche, controllate da telecamere a circuito chiuso, a cui affiancano delle capsule, collegate a piattaforme-base le quali ospitano uomini che lavorano a pressione atmosferica. I subacquei di. profondità, in questo caso, competono con i robot.

Sarebbe ugualmente errato asserire che i sub – o i robot – sono la migliore soluzione in tutte le occasioni. Si tratta della solita questione (affrontata in interminabili dibattiti): l’osservazione diretta nell’esplorazione spaziale può essere sostituita efficacemente da quella compiuta dagli strumenti? L’esperienza ha dimostrato che sono entrambe utili, tanto in mare quanto nello spazio extraterrestre.